Seconda guerra mondiale: perché lo sbarco alleato in Sardegna non avvenne mai

Lungo le coste della Sardegna è ancora oggi possibile osservare numerose fortificazioni militari risalenti alla Seconda guerra mondiale, che spesso appaiono sostanzialmente intatte. Infatti, l’ipotesi per le quali furono costruite, ovvero ostacolare o impedire l’avanzata alleata verso l’interno, non si verificò mai. Dopo l’8 settembre, infatti, con la connivenza o perlomeno l’acquiescenza delle truppe italiane, le forze militari tedesche evacuarono quasi senza incidenti l’Isola verso la Corsica, segnando così la fine del conflitto mondiale per la Sardegna. Che passò sotto il controllo del Governo Badoglio e la tutela degli Alleati, che sbarcarono nei giorni successivi (il 17 settembre) le loro truppe nell’Isola senza sparare un colpo.  Insomma, uno sbarco in Sardegna stile D-Day non ebbe mai luogo. Ciò non toglie che, per lungo tempo, questa possibilità fu valutata concretamente dalle forze militari alleate e temuta da quelle dell’Asse, che per l’appunto svilupparono un sistema di fortificazione che, alla fine del 1942, contava circa 1400 opere fortificate ultimate/da ultimare o comunque progettate (fonte, associazione studi storici e fortificazioni della Sardegna).

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Il piano di Churchill: colpire l’Italia per indebolire la Germania

L’idea di un possibile sbarco venne per prima al Regno Unito che, dopo la sconfitta della Francia nel giugno del 1940 e l’entrata in guerra dell’Italia, fu per un anno (sino all’ingresso nel conflitto dell’URSS) l’unico paese a restare in guerra contro le potenze nazifasciste. Come si può leggere in “Prelude to Casablanca: British Operational Planning for Metropolitan Italy and the Origins of the Allied Invasion of Sicily, 1940–1941”, a cura di Marco Maria Aterrano dell’Università Federico II di Napoli, nel Governo Churchill era chiaro che l’obiettivo finale – ovvero la sconfitta della Germania nazista – poteva passare soltanto attraverso una fase intermedia: la sconfitta preliminare dell’Italia, anche senza una vera e proprio conquista militare della Penisola. Questo avrebbe permesso alle forze britanniche (ancora presenti in forze nel Mediterraneo, basti pensare a Malta o all’Egitto) di avvicinarsi gradualmente al cuore della fortezza europea e di indebolire progressivamente l’avversario principale: il Terzo Reich. In altre parole, l’Italia non era vista non tanto come un fine militare in sé, quanto come un mezzo per colpire la Germania.
Anche perché, nel 1940-41, l’Italia rappresentava l’unico bersaglio che le isolate forze britanniche nella regione potessero realisticamente sperare di sconfiggere.

Perché gli inglesi valutarono seriamente lo sbarco in Sardegna

Un’analisi dello Stato Maggiore britannico consegnata allo stesso Churchill nell’ottobre del 1940 prevedeva due distinte fasi: la prima ipotizzava la conquista di una base in Sicilia, Tunisia o Sardegna, seguita da «un eventuale sbarco nella punta o nel tallone dell’Italia». Successivamente, la possibilità di attacchi alla Sardegna fu posta tra le azioni non degne di «considerazione immediata» e rimandata a un «esame successivo». Nei primi mesi del 1941, comunque, l’attenzione degli alti ufficiali britannici riprese a concentrarsi sulla Sardegna, considerata un’alternativa praticabile all’operazione Influx (ovvero al programma per la conquista della Sicilia nel 1941), meno costosa e più facilmente realizzabile. Il piano per la Sardegna fu ribattezzato Operazione Yorker: come raccontato dalla professoressa Maria Rosa Cardia, autrice del libro La Sardegna nella strategia mediterranea degli Alleati durante la seconda guerra mondiale (1940-1943). I piani di conquista,  al tramonto del giorno stabilito due convogli distinti sulla rotta Gibilterra-Malta-Egitto avrebbero dovuto virare decisamente a nord, dirigendosi verso le coste sarde per raggiungerle all’alba. Obiettivo del primo assalto anfibio sarebbe stata la spiaggia di Portoscuso, con la baia di Palmas come alternativa. Nelle ore successive ulteriori sbarchi erano previsti a Muravera, a Oristano (per tagliare le comunicazioni nell’Isola) e ad Alghero, mentre truppe aviotrasportate avrebbero dovuto impossessarsi dei principali aeroporti. Tutti questi attacchi, oltre a stabilire importanti teste di ponte, avrebbero dovuto distrarre l’attenzione dal principale obiettivo: il porto di Cagliari. Qui, il quarto giorno, sarebbe sbarcata la maggioranza delle truppe e dei mezzi. Nella strategia inglese sarebbe stata decisiva l’occupazione tempestiva degli aeroporti, che avrebbe permesso di bombardare i porti italiani e respingere i rinforzi in arrivo.

I rischi del Piano Yorker

Eppure, nonostante inizialmente l’operazione Yorker fosse stata riconosciuta come di grande rilevanza strategica e meritevole della massima priorità nell’impiego delle forze britanniche nella regione, già nel febbraio del 1941 lo Stato maggiore cominciò a suggerire cautela, a causa della sempre maggiore complessità dello scenario mediterraneo per la Gran Bretagna. Secondo i pianificatori, «i rischi potevano essere giustificati solo dal raggiungimento di un obiettivo strategico di valore ben superiore alla conquista della Sardegna». In altre parole, l’operazione avrebbe avuto senso soltanto se l’isola fosse stata successivamente trasformata in una base per attacchi aerei contro l’Italia. Tuttavia, la conquista della Sardegna sembrava porre problemi militari di tale portata che, «azzardata in qualsiasi momento, senza un’adeguata preparazione [sarebbe stata] probabilmente disastrosa».

Invadere la Sardegna per superare le difficoltà nel Mediterraneo: operazione Garotter

Nonostante tali perplessità il piano Yorker fu però ripreso e perfezionato poco dopo, attribuendogli un nuovo nome (operazione Garotter), dal momento che la situazione mediterranea iniziava a preoccupare seriamente il Governo di Sua Maestà. Con la Luftwaffe stanziata in forze in Sicilia e in Libia, il rischio paventato era quello della perdita della preziosissimo punto di appoggio di Malta, vitale per le operazioni britanniche lungo tutto il Mediterraneo. In questo frangente l’esigenza di occupare la Sardegna per farne una solida base offensiva contro l’Italia e, soprattutto, per tenere sotto controllo le rotte del Mediterraneo occidentale cominciò a riguadagnare campo. Il Piano Garotter, riprendeva sostanzialmente le linee di Yorker, ma si concentrava soprattutto sulla presa immediata di Cagliari. Tuttavia la sua pianificazione fu ostacolata dall’insufficienza di informazioni derivanti dalle ricognizioni fotografiche per le quali mancavano aerei e carburante. Dunque, anche in questo caso, il progetto fu rinviato.


Il piano parallelo di Emilio Lussu e la guerriglia in Sardegna

In questa fase della guerra, tra l’altro, c’è da segnalare un progetto parallelo promosso dal leader sardista e antifascista Emilio Lussu, che puntava a uno sbarco di commandos in Sardegna, capace di innescare nell’isola, attraverso la guerriglia di montagna, un focolaio di ribellione del Paese al regime mussoliniano.  Lussu proporrà il progetto sia a Londra che negli Stati Uniti, ma l’intera operazione fu poi successivamente accantonata per la diffidenza degli Alleati, nonchè per la stessa decisione di Lussu di non dargli corpo in assenza di impegni precisi sul destino dell’Italia dopo la fine del conflitto.

Le conseguenze dell’ingresso degli Usa in guerra

Nel corso del 1941 l’isolamento britannico finì, a causa dell’invasione tedesca dell’Urss con l’Operazione Barbarossa (22 giugno 1941). A settembre, la situazione per Mosca era talmente critica che i sovietici premettero con insistenza per l’apertura immediata di un secondo fronte europeo. In queste settimane, a Londra fu così presa in considerazione l’utilizzo di alcune divisioni nel Teatro del Mediterraneo. Ma ormai all’orizzonte c’era l’ingresso in guerra degli Usa, che avvenne a ottobre del 1941 a seguito di Pearl Harbor.

Già nel gennaio 1942, durante la conferenza di Washington, americani e inglesi cominciarono a studiare una strategia comune che puntava all’attacco all’Europa su due fronti: dall’Italia a sud e in Normandia a nord. Ma tutto fu lasciato a una vittoria completa nel Nord Africa, rimandando così le mire sulla Sardegna e sull’Italia per un altro anno. Arriviamo così alla fine del 1942, un anno decisivo per le sorti del conflitto mondiale e che vede un evidente ribaltamento dei rapporti di forza nel Mediterraneo, con la sconfitta italo-tedesca di El Alamein in  Nord Africa, che sarebbe poi sfociata tarda primavera del 1943 nella fine delle ultime sacche di resistenza dell’Asse in Tunisia. A questo punto del conflitto gli anglo-americani possono progettare con maggiore concretezza l’invasione dell’Italia, un’operazione in realtà voluta più da Londra che da Washington (che avrebbe forse preferito concentrare gli sforzi sulla Francia), ancora speranzosa di poter giocare un ruolo nel contesto mediterraneo anche nel secondo dopoguerra.

Come e perchè prevalse la scelta di invadere la Sicilia

Inizialmente gli inglesi proposero di invadere la Sardegna, ma gli americani ritenevano che “una campagna in Sardegna sarebbe stata equivalente a colpire prima il punto debole, con il rischio di rendere più difficile il punto forte nel lungo periodo”, si legge su The Twelfth US Air Force: Tactical and Operational Innovations in the Mediterranean Theater of Operations, 1943–1944. Gli americani convinsero gli inglesi che un’invasione della Sicilia poteva essere condotta già nell’estate del 1943 e avrebbe costretto i tedeschi a distogliere una parte significativa della loro forza combattente dal fronte russo durante “la stagione critica della campagna” (in effetti nell’estate 1943 la Wehrmacht tentò senza successo di sfondare nel fronte orientale). Dunque, a partire dal Gennaio 1943, con la Conferenza di Casablanca, l’ipotesi dell’invasione della Sicilia prevalse (nota poi come Piano Husky).

Fu comunque pensata un’operazione militare per la Sardegna, ribattezzata stavolta Brimstone, che rappresentava una sorta di piano B rispetto alla campagna d’Italia poi effettivamente eseguita (attraverso la Sicilia e l’Italia meridionale): l’avanzata delle forze alleate sarebbe avvenuta sul versante occidentale della mappa geografica: dalla Tunisia le truppe sarebbero andate direttamente a nord verso  Sardegna, prima di un doppio sfocio nell’Italia settentrionale e, attraverso la Corsica, nella Francia meridionale.

La Sardegna invasa nell’estate del 1943: il despistaggio del piano Mincemeat

In realtà, comunque, la Sardegna risultò utile agli alleati soprattutto per una delle operazioni di depistaggio più note della seconda guerra mondiale, denominata Mincemeat.  In estrema sintesi i britannici presumevano che, se i tedeschi avessero creduto che gli sbarchi alleati avrebbero evitato la Sicilia e l’Italia, avrebbero spostato le loro truppe lontano da queste zone per contrastare le minacce apparenti. A questo scopo, furono inscenati i piani per una “invasione” della Grecia da parte di quella che in realtà era la fittizia Dodicesima Armata britannica, prevista per “l’inizio dell’estate del 1943”.  Gli Alleati volevano anche convincere i tedeschi che ulteriori truppe sarebbero sbarcate nel sud della Francia provenendo dalla Corsica e dalla Sardegna, dividendo ulteriormente le forze tedesche (come in effetti previsto dal piano Brimstone). A tal fine fu fatto trapelare che “il generale Patton avrebbe attaccato la Sardegna e la Corsica”.

Mincemeat entrò nel vivo nella primavera 1943, quando un cadavere con una valigetta contenente piani di questo tipo fu fatto rinvenire in Spagna, attirando le attenzioni dello spionaggio nazista, che abboccò in pieno.

Le truppe tedesche furono quindi ridislocate dalla Sicilia e dall’Italia verso il Peloponneso, la Grecia, la Corsica e la Sardegna. Gli Alleati, sbarcati in Sicilia il 10 luglio del 1943, incontrarono così una resistenza molto più debole rispetto a quella che avrebbero altrimenti affrontato. Il piano Brimstone per tutti questi mesi fu tenuto in caldo, ma l’intero progetto fu annullato il 20 luglio 1943 dopo che il successo di ‘Husky’  rese la Sardegna in pratica superflua per le esigenze alleate.

Conclusioni: un’invasione mai avvenuta ma non certo improbabile

Insomma, se lo sbarco in Sardegna non si è mai verificato è perché gli equilibri di forza nel Mediterraneo lungo i 3 anni di conflitto lo hanno sconsigliato o hanno suggerito agli alleati delle opzioni diverse e/o ritenute maggiormente convenienti o praticabili. Ma non è mai stata un’opzione inverosimile, anzi. Probabilmente, il momento in cui si è giunti più vicini allo sbarco in Sardegna è stato tra il 1940 e il 1941, quando il Regno Unito aveva bisogno di rinsaldare la sua posizione nel Mediterraneo, piuttosto che nel 1943, quando l’ingresso degli Usa nel conflitto aveva ormai ribaltato la situazione. Ma un eventuale fallimento dello sbarco in Sicilia avrebbe potuto riportare in auge il piano Brimstone e, dunque, un’invasione anfibia della Sardegna. O ancora, la mancata firma dell’armistizio dell’8 settembre da parte dell’Italia avrebbe potuto spingere prima o poi gli angloamericani a tentare uno sbarco per impadronirsi dell’Isola. Quel che è certo è che le centinaia di fortificazioni militari dell’Isola stanno ancora lì, ormai spesso protette da vincoli culturali, a testimonianza di quello che sarebbe potuto succedere e che non successe.

FONTI

  • Marco Maria Aterrano – Prelude to Casablanca: British Operational Planning for Metropolitan Italy and the Origins of the Allied Invasion of Sicily, 1940–1941”
  • Maria Rosa Cardia- La Sardegna nella strategia mediterranea degli Alleati durante la seconda guerra mondiale (1940-1943). I piani di conquista
  • Manlio Brigaglia: La Sardegna nella seconda guerra mondiale, 60° anniversario della Liberazione
  • The Twelfth US Air Force: Tactical and Operational Innovations in the Mediterranean Theater of Operations, 1943–1944
  • David T. Moore: A Short Primer on Deception and What to Do About It


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