Come si viveva nella Sardegna del Medioevo? Pochi sardi saprebbero oggi rispondere a questa domanda, che probabilmente riguarda il periodo storico con cui oggi c’è in assoluto la minore familiarità, al contrario di un’epoca nuragica considerata come molto vicina (per ragioni di carattere identitario e non solo). Ma neanche gli storici, in realtà, hanno chiarissime le condizioni di vita reali delle persone comuni, anche a causa della penuria di fonti scritte che caratterizza la storia dell’Isola sino all’avvento della dominazione aragonese. Un aiuto importante alla scoperta di informazioni preziose per questo periodo può arrivare dall’archeologia, come testimoniano gli scavi archeologici condotti recentemente su Bisarcio, un insediamento ormai abbandonato nel territorio del comune di Ozieri, che era situato nelle immediate vicinanze della cattedrale di Sant’Antioco di Bisarcio (costruita in piena epoca giudicale). Proprio agli scavi di Bisarcio Marco Milanese, Professore Ordinario di Archeologia (Cattedre di Metodologia della Ricerca Archeologica, Archeologia Medievale e Postmedievale) presso l’Università di Sassari, ha appena dedicato un saggio, intitolato “Bisarcio: una comunità rurale della Sardegna tra XII e XVIII secolo”. Cronache Sarde ha intervistato il Professor Milanese per capire come e perché gli scavi di Bisarcio possano aprirci una preziosa finestra sulle condizioni della Sardegna nel Medioevo
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Perché la Sardegna nuragica è unica al mondo: cosa ci dice l’archeologia
Perché la Sardegna nuragica è unica nel contesto archeologico globale? Non soltanto per le caratteristiche architettoniche dei suoi monumenti, ma anche e soprattutto per la storia che hanno dietro. Lo ha raccontato Anna Depalmas, Presidente del Comitato Scientifico dell’Associazione La Sardegna verso l’Unesco e docente presso l’Università di Sassari, nel corso della Terza conferenza internazionale della Sardegna Verso l’Unesco con l’intervento “L’unicità mondiale del paesaggio archeologico della protostoria sarda”. Come spiega la stessa Depalmas a Cronache Sarde, lo scopo è stato quello di tenere desta l’attenzione sull’idea di iscrivere i monumenti nuragici nella Wolrd Heritage list dell’Unesco..
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Mont’e Prama: cosa sappiamo oggi e perchè le statue sono crollate
Più di Barumini e più del Pozzo di Santa Cristina o di qualsiasi altro sito nuragico dell’Isola: le sculture rinvenute nel 1974 nel sito di Mont’e Prama, nel Sinis, sono senza dubbio le vere e proprie star della storia antica della Sardegna. Libri, convegni, articoli e, naturalmente, polemiche annesse a non finire, che hanno anche talvolta trovato spazio sui principali quotidiani dell’Isola. Il ritrovamento di altre due statue, nel 2014, non ha fatto altro che riaccendere l’attenzione dei sardi (e non solo) rispetto a questa eccezionale scoperta archeologica. Come noto, le statue raffigurano in numero variabile dei guerrieri armati di scudo rotondo, arcieri e “pugilatori”, oltre a modelli di nuraghe e ad altri oggetti non identificati. Sono stati rinvenuti anche numerosi betili in arenaria e in calcare, nonché, soprattutto, una serie di tombe allineate coperte con lastre quadrate di arenaria poste in sequenza ordinata, che sono considerate dall’archeologia come collegate alle più famose sculture. A queste ultime è ormai associato immancabilmente il termine “giganti”, forse anche con intenti più di marketing che propriamente storici. Ma quale era veramente la funzione del sito di Mont’e Prama? E, soprattutto, perché a un certo punto le statue sono cadute per poi finire nell’oblio della storia? Ne abbiamo parlato con uno dei massimi esperti del settore, ovvero Alessandro Usai, archeologo, dal 1994 funzionario della Soprintendenza Archeologia, Belle arti e Paesaggio di Cagliari e, soprattutto, direttore degli scavi presso il sito di Mont’e Prama.
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