238 a.C.: Quando la Sardegna divenne romana – La fine del dominio cartaginese

C’è una data che costituisce un passaggio chiave nella storia della Sardegna, dal momento che le sue ripercussioni arrivano sino ai giorni nostri: nel 238 a.C., infatti, l’Isola entrò nell’orbita romana, una situazione che perdurò – a parte la parentesi dei Vandali – per oltre mille anni, ovvero sino all’epoca giudicale. Nel periodo compreso tra le prime due guerre puniche ebbe infatti fine il dominio cartaginese nell’Isola che, secondo Polibio, perdurava dal 509 a.C, anche se, naturalmente, numerose colonie fenicie erano già presenti nell’Isola da alcuni secoli. Eppure, questo spartiacque cruciale della storia sarda è ben poco noto e raccontato, mentre è decisamente più conosciuta la rivolta dei sardo-punici guidati da Amsicora contro i romani, che avvenne alcuni decenni più tardi. Abbiamo perciò cercato di ricostruire questo passaggio con uno dei massimi storici della Sardegna romana, il Professore Attilio Mastino, ex Rettore dell’Università degli studi di Sassari e Direttore di “Epigraphica”.

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Dai Fenici ai Cartaginesi: la Sardegna nella rotta del Mediterraneo antico

Mastino innanzitutto chiarisce come la perdita della Sardegna per Cartagine non fu di poco conto, anzi: “La Sardegna era fondamentale per l’impero punico, perché collocata sulla grande rotta che dal Libano attraverso Cipro e Creta raggiungeva Trapani, Karales, Cartagine e giungeva fino a Gades sull’Atlantico, lungo il 38° parallelo. I porti sardi (in particolare Karales, Nora, Sulki, Tharros) erano grandi approdi al servizio della flotta mercantile punica”.
La penetrazione punica nelle zone interne era sicuramente più limitata ma non certo assente, considerato che queste aree potevano essere comunque raggiunte attraverso i fiumi (Sa Tanca ‘e Sa Mura sul Temo, Flumendosa, Coghinas, Rio Mannu e Tirso). Esistevano poi antichi percorsi nuragici che collegavano le vie della transumanza inoltrandosi all’interno e permettevano un contatto diretto, ma non si deve pensare – come in età romana – a una vera e propria occupazione militare. In ogni caso, chiarisce lo storico “Santuari punici sono noti all’interno, come quelli delle acque o quello dedicato al dio Eshmun (Asclepio, Esculapio), invocato alla metà del II secolo d.C. nella iscrizione trilingue sulla base metallica di San Nicolò Gerrei conservata ai Musei Reali di Torino, offerta da un personaggio di origine servile collegato all’attività delle saline di Karales”.

La crisi di Cartagine dopo la Prima Guerra Punica

“Questo contesto sociale, culturale e politico ormai consolidato da diversi secoli fu messo in crisi dalla sconfitta dell’impero cartaginese nella prima guerra punica, terminata nel 241 a.C. dopo la rotta nella battaglia navale delle isole Egadi. Le difficoltà cartaginesi provocarono la rivolta dei suoi stessi mercenari – che costituivano gran parte delle forze puniche – guidata in Africa dal campano Spendio, dal libico Mathos e dal gallo Autarito; contemporaneamente una simile sollevazione anticartaginese si svolse anche in Sardegna. “Cartagine non riusciva a pagare gli stipendi ai soldati perché al termine della prima guerra punica fu costretta a caricarsi una fortissima indennità, che fu saldata solo dopo che Amilcare (il padre di Annibale) iniziò lo sfruttamento delle miniere spagnole. Eppure le truppe di fanteria non erano state toccate direttamente dalla prima guerra romano-cartaginese, sia quelle in Sicilia (guidate da Amilcare chiuso ad Erice) sia quelle in Sardegna. È probabile che tra i ribelli, che arrivarono anche ad assediare Cartagine, vi fossero dei Sardi, che erano arruolati di frequente sotto le insegne puniche. La composizione etnica dell’esercito di occupazione in Sardegna doveva essere d’altra parte simile a quella dell’esercito africano, in particolare per la presenza di Campani”, evidenzia Mastino.

La rivolta dei mercenari in Sardegna

Più nel dettaglio, mentre Mathos e Spendio avevano già iniziato la loro sollevazione, in Sardegna fu ucciso Bostare, comandante di un contingente punico, assieme a tutti i Cartaginesi presenti nell’acropoli di una città che forse era Karales o Cornus; le truppe inviate di rinforzo da Cartagine, a loro volta, si ribellarono ed uccisero il comandante Annone, crocifiggendolo, per poi coinvolgere i Cartaginesi che si trovavano nell’isola. È per questo motivo che Cartagine, assediata dagli insorti, non ricevette dalla Sardegna alcun aiuto e anzi defezionarono anche Utica e Biserta.

Successivamente però i cartaginesi riuscirono a riguadagnare terreno e poco prima della battaglia finale di Prione (vicino a Tunisi) i mercenari di stanza in Sardegna, evidentemente informati della brutta piega presa dagli avvenimenti in Africa, chiesero una prima volta l’aiuto dei Romani, imitati in questo anche dagli Uticensi. La richiesta non fu però accolta, anche perché i Cartaginesi avevano restituito da poco cinquecento mercanti italici, che erano stati catturati mentre portavano rifornimenti ai rivoltosi. In questa fase, secondo Mastino, era stato probabilmente stipulato un trattato di pace che impediva a Roma di interferire nell’ambito dell’impero punico.

Alla fine della rivolta africana, dopo la riconquista di Utica da parte dei Cartaginesi e la cattura e l’uccisione di Mathos, i mercenari che si trovavano in Sardegna sollecitarono ulteriormente un intervento romano nell’isola, per proteggersi dal tentativo di riconquista punico. Questa volta la richiesta fu accolta ed ebbero inizio (ormai alla fine dell’anno consolare del 238 a.C.) i preparativi per lo sbarco in Sardegna di un corpo di spedizione comandato dal console Tiberio Sempronio Gracco che, nonostante le proteste cartaginesi, riuscì poi senza difficoltà a impadronirsi delle piazzeforti puniche nell’isola che erano in mano ai mercenari in rivolta.

La conquista romana vista dagli antichi: Polibio contro Roma

Ma perchè Cartagine decise di non reagire in forze all’annessione romana?
“Cartagine non aveva la possibilità di reagire: stremata dalla guerra punica e dalla rivolta dei mercenari, si concentrava ormai in un’altra area del Mediterraneo, a Carthago Nova, dove Amilcare aveva fondato la nuova Cartagine, presso le miniere iberiche. Solo una generazione dopo, partendo da qui, Annibale sarebbe stato in grado di portare la guerra in Italia oltrepassate le Alpi”, evidenzia Mastino. Senz’altro, però, questa operazione spregiudicata di Roma, che violava persino i trattati di pace, deve avere sollevato più di una perplessità tra le stesse élite romane: secondo lo storico Polibio, i Romani sottrassero all’impero punico la Sardegna con l’inganno e con giustificazioni inaccettabili. Occuparono un’isola vasta, popolosa e fertile, senza esser stati provocati, molti mesi dopo il trattato che chiudeva la prima guerra punica. “Polibio dà un duro giudizio sull’intervento romano che i Cartaginesi subirono, costretti oltretutto a pagare un’indennità aggiuntiva di 1200 talenti d’argento: «nessuno poteva trovare una causa o anche un pretesto ragionevole tale da scagionare i Romani; (…) non si poteva che essere d’accordo sul fatto che i Cartaginesi, contro ogni norma di giustizia, furono costretti, in un momento per loro estremamente difficile, a ritirarsi dalla Sardegna e a pagare in aggiunta un’indennità».

E più oltre: «a proposito del passaggio dei Romani in Sicilia abbiamo dunque concluso che esso non costituì una violazione dei patti; non si può invece trovare alcun pretesto né alcuna causa ragionevole della seconda guerra, che essi dichiararono a Cartagine, in seguito alla quale fu stipulato il trattato riguardante la Sardegna). Bisogna riconoscere che i Cartaginesi furono costretti dalle circostanze, contrariamente a ogni principio di giustizia a ritirarsi dalla Sardegna e a pagare ai Romani l’indennità suddetta».

Un trionfo affrettato

Il giudizio di Polibio è ripreso da Tito Livio, per il quale la Sardegna fu presa dai Cartaginesi con la frode romana; per sovrappiù era stata imposta anche un’indennità di guerra: Sardiniam inter motum Africae, fraude Romanorum, stipendio etiam, insuper imposito, interceptam. “Giudizi che in realtà andrebbero temperati, in rapporto all’ambiguo comportamento tenuto da Amilcare, il padre di Annibale, certamente intenzionato a riaprire la lotta contro i Romani”, mette in luce l’ex rettore dell’Università di Sassari. Quel che è certo è che il 10 marzo del 234 fu celebrato a Roma il trionfo de Sardeis, mentre nel 227 fu istituita la provincia di Sardegna e Corsica. Ma il trionfo fu senza dubbio celebrato in maniera affrettata, evidenzia Mastino, dal momento che “le vicende successive testimoniano che proprio i Sardi per almeno due secoli non si piegarono completamente ai Romani”.

L’annessione della Sardegna e le origini della Seconda Guerra Punica

Roma, però pagò cara la sua politica spregiudicata in Sardegna, tanto che l’annessione dell’isola viene ormai considerata dagli storici come la causa principale della seconda guerra punica. Quella in cui la spedizione Annibale arrivò vicina a distruggere completamente il dominio romano nella Penisola italiana, infliggendo sanguinosissime sconfitte alle legioni (tra cui la celebre battaglia di Canne).

“Esasperato e impoverito anche personalmente, Amilcare costrinse il figlio Annibale a giurare odio eterno verso Roma, forse nel santuario sul colle di Baal Ammone-Saturno (sul Djebel Bou Kornine). Privato dell’“Isola dalle vene d’argento” collocata al centro del Mediterraneo, persi i suoi latifondi e le sue miniere, Amilcare decise di fondare una Nuova Cartagine a bocca di miniera in Spagna (Cartagena). Da qui Annibale sarebbe partito per vendicare il padre e i Cartaginesi: occupata Sagunto, invaso il territorio di Marsiglia, superate le Alpi, egli raggiunse l’Italia centrale e meridionale, destinata a essere travolta da una lunghissima guerra. La sua vera eredità furono le devastazioni e la povertà diffusa dei secoli successivi in Italia che avrebbero provocato la vicenda dei Gracchi e poi le guerre civili” evidenzia Mastino.

Proprio la seconda guerra punica ebbe la nota appendice sarda con la rivolta dei sardo-punici guidati Amsicora (alleato di Annibale) contro Roma e la loro successiva sconfitta, che significò anche la fine delle possibilità per Cartagine di riportare la Sardegna nella propria sfera di influenza (Una vicenda che merita però di essere narrata nel dettaglio in un articolo a sé stante).

La lunga eredità punica nella Sardegna romana

Per il momento è sufficiente sottolineare come l’annessione romana non significò l’immediata scomparsa della cultura punica nell’isola che, anzi, “sopravvisse sulle coste a lungo, tanto che conosciamo i sufeti di Karales nell’età di Cesare (oltre un secolo dopo la distruzione di Cartagine). Similmente nello stesso periodo Cicerone nella sua opera Pro Scauro sosteneva maliziosamente che la Sardinia era l’unica provincia nella quale non si trovavano alla metà del I secolo a.C. città amiche del popolo romano o libere ma solo civitates stipendiariae (quae est enim praeter Sardiniam provincia quae nullam habeat amica populo Romano ac liberam civitatem?).
Dunque nella grande Isola tirrenica nell’età di Cicerone non esistevano città di fondazione (colonie) o municipi di cittadini romani: tutte le antiche colonie fenicie e puniche erano ancora governate da sufeti secondo la tradizione punica, ormai a oltre un secolo dalla distruzione di Cartagine. Esse erano considerate dai Romani solo delle civitates stipendiariae, cioè città abitate da stranieri (peregrini), sottoposte al pagamento di uno stipendium in denaro, victoriae premium ac poena belli, premio per i vincitori, punizione per i sardo-punici sconfitti al momento dell’occupazione dell’isola (l’espressione è utilizzata nelle Verrine per la Sicilia); e ciò senza un vero e proprio foedus. Addirittura negli ultimi anni di Marco Aurelio (nel secondo secolo dopo Cristo, quasi 300 anni dopo la caduta di Cartagine per mano di Scipione l’Emiliano) due sufeti sono noti a Bithia, ma uno di loro è definito “il Romano”, in quanto in possesso a titolo individuale della cittadinanza romana”, evidenzia lo storico.

Conclusione: un’eredità che arriva fino ai nostri giorni

Ma che fine fecero i mercenari responsabili del passaggio epocale della Sardegna alla sfera d’influenza romana? Su di loro non abbiamo più notizie certe dopo la spedizione di Roma, ma “È molto probabile che i mercenari abbiano continuato dal 238 a.C. ad occupare le acropoli delle principali città della Sardegna, venendo progressivamente sostituiti da soldati latini”, conclude Mastino. Quel che è certo è che le conseguenze di quell’azione, fatta esclusivamente per ragioni economiche e di potere, hanno pesato per tutti i secoli successivi, tanto da influire ancora oggi sulla vita della Sardegna: dalla lingua parlata dai sardi al rapporto più stretto (politicamente e non solo) con l’Italia continentale anzichè con l’Africa del Nord.


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Commenti

Una replica a “238 a.C.: Quando la Sardegna divenne romana – La fine del dominio cartaginese”

  1. Avatar Come si viveva nella Sardegna medievale: cosa ci racconta Bisarcio – Cronache Sarde

    […] nelle monete ossidate), quasi a ricordare l’antico obolo che si pagava a Caronte nelle sepolture dietà romana ma anche successiva. Non si tratta di un elemento unico nelle sepolture medievali ma è comunque […]

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